ANCONETTA

La storia di Anconetta emerge interamente dai documenti d’archivio, ordinati e “raccontati” da mons. Mario Dalla Via, archivista vescovile per 40 anni, nel volume “Anconetta, una località, una icona, una comunità”, edito dalla Biblioteca di Anconetta ( del sistema urbano delle biblioteche, facente capo alla Bertoliana), nel 1995.

LA STORIA

Il primo documento relativo alla chiesetta di Anconetta risale al 1606, ed è di Don Benedetto da Verona, curato di Santa Lucia, a cui fa seguito una testimonianza importante, redatta dalla Superiora delle Suore di S. Domenico proprietarie del terreno dove sorse la primitiva cappella, edificata per custodire la piccola Icona della Madonna (Iconetta da cui il toponimo Anconetta) Gratiosa (dispensatrice di Grazie).

Il percorso cronologico dall’origine, risalente al 1500, all’evoluzione successiva, è legato alla storica via Postumia, e precisamente alla località ubicata altezza dell’angolo via Perin e di fronte a via Camaldolesi (denominata così in tempi successivi). Tutta la zona all’epoca faceva parte della Parrocchia dei Santi Vito e Lucia della “Coltura de Lisiera”.

Siamo nella seconda metà del 1500 e proprio in quell’angolo sorgeva un grande albero a cui era appesa una piccola icona della Madonna.

La via Postumia, l’arteria principale che seguendo la direzione Est – Ovest attraversava tutta la Pianura Padana, era percorsa da eserciti (pensiamo alla Lega di Cambrai), da soldati, da mercanti, ma anche dai contadini che portavano in città i loro poveri prodotti, dai pellegrini… che sostavano davanti all’Icona, rivolgevano una preghiera alla Madonna, chiedevano una Grazia, facevano una promessa, e in seguito… appendevano tra le fronde gli ex-voto, < le tavolette votive “quam plurimae” (moltissime) – è scritto – conservate gelosamente fino agli anni ’50 del 1900 dal primo parroco Don Domenico Lora >, per grazia ricevuta.

A poco a poco, l’albero con il suo prezioso “tesoro” diventò un punto di riferimento: era nata una tradizione!

I contadini che abitavano in quel luogo decisero ad un certo punto (verso la fine del 1500) di dare una collocazione più dignitosa alla “loro” Icona e sottrarla così alle intemperie.

Insieme, nonostante la povertà “endemica” caratteristica delle nostre campagne, periodicamente devastate dalle guerre e dalle scorrerie dell’epoca, i contadini presero la decisione di costruire una chiesetta. Ma dove?

Nello stesso luogo dove era stata appesa l’Icona per tanto tempo!

Si rivolsero, allora, alle Suore di S. Domenico proprietarie di quel terreno alle porte della città, per chiedere il permesso di tagliare “l’albaro” ( uno dei primi documenti) e sulla “zocha” edificare una “chiesiola”.

Ottenuto il consenso, misero insieme tutto quello che avevano: chi i “quarei”, chi il legno per approntare la struttura, chi i chiodi…, ma la maggior parte offrì il contributo delle proprie braccia.

E la chiesiola dedicata all’ASSUNTA cominciò a prendere forma: lunga “20 piedi e larga 16 circa”.

Accadde, però, che il signorotto del paese, GioBatta Imperiali volle mettere, di suo, 100 “troni” (monete dell’epoca).

È proprio da questo “contributo” pecuniario che nacque il contenzioso, ed è proprio “grazie” a questa controversia (che impegnò avvocati, notai e vescovi, e quindi tante “carte”: atti notarili, testimonianze, prove documentali…) che noi, oggi, possiamo contare su una ricca documentazione d’archivio.

La causa di tutto questo fu la pretesa dell’Imperiali dello “Jus Patronatus” sulla chiesetta, con il diritto, cioè, di raccogliere le elemosine e di nominare l’officiante.

A quel punto, gli abitanti del luogo (che ormai veniva chiamato “dell’Anconeta”), poveri sì, ma non sprovveduti, si ribellarono a questa prepotenza e furono chiamati in giudizio dall’Imperiale.

Le due parti furono invitate a produrre “prove”, testimoni, e quindi documenti notarili (fonte preziosa per gli storici e in particolare per Mons. Mario Dalla Via che in base a questi documenti ha ricostruito tutta la storia).

Trattandosi di “chiesetta” fu investito il tribunale ecclesiastico; dopo varie “deposizioni” e l’escussione di diversi testimoni, il Vescovo Dionisio Dolfino ‘tagliò corto’ e finalmente il 14 giugno 1613 emise il suo verdetto, diede ragione agli abitanti dell’Anconetta (o di Anconetta), affidando “in perpetuo” la cura della piccola chiesa ai Padri Camaldolesi ( che già celebravano le funzioni religiose).

Termina con questa sentenza la prima fase del contenzioso

In una delle tante visite pastorali ( regolarmente documentate e scritte in latino) si legge: “Il reverendo Lauro Arrigoni, vicario generale (…), preso come notaio me Domenico Pavan, visitò la chiesa, ossia oratorio campestre (…) nella località detta l’Anconetta, dove (…) è una tavola dipinta con la figura della Beata Vergine Maria, tenente il suo bambino Gesù – che si dice donatrice di grazie (gratiosa) e nella venerazione del popolo. (…). Nel pavimento c’è una pietra con questa iscrizione: “Qui sotto è l’albero al quale stava appesa la devota Anconetta”…

Venerdì 14 aprile 1651. (Ma siamo già nella seconda fase del contenzioso)

Dopo alcuni decenni, infatti, il figlio dell’Imperiali, di nome Giovanni e pure lui medico, riprese in mano tutta la questione, considerando l’atteggiamento del padre troppo arrendevole e nel 1637 “intraprese una causa contro i padri Camaldolesi per rivendicare quel diritto di patronato che il padre non aveva difeso sufficientemente” (op. cit.)

Furono riesaminati tutti gli atti e la pratica finì al Tribunale di Venezia.

Conclusione – fu capovolto il decreto del 14 giugno 1613! – , in base ad un cavillo prodotto ad arte dagli avvocati! ( vedi documenti op. cit. pagg. 59, 60).

“Da allora il Diritto di Patronato è passato da un erede all’altro”. Dopo l’estinzione del cognome Imperiali, (anche il contrasto con la comunità si era nel tempo affievolito) si trovano i nomi della famiglia Nicolosi (Giovanni Nicolosi), poi i Nussi- Stecchini, in seguito i conti Miari. Sarà proprio il Co. Miari a donare nel 1908 al primo Curato don Domenico Lora (che diventerà il primo parroco e il primo insegnante elementare di Anconetta) il “campo” su cui costruire la nuova chiesa, mentre la contessa Teresa Miari il 31 agosto 1908 a Lourdes, “ ha comprato – scrive nel Cronistorio don Domenico – la statua de l’Immacolata per la erigenda Chiesa di Anconetta e l’ha benedetta nella grotta Mons. Cavezzali”.

Il 31 ottobre 1909 la nuova chiesa fu solennemente inaugurata, e in essa, in una bella “nicchia in pietra d’Istria”, fu collocata “la vecchia Immagine della Madonna col Bambino” – si legge ancora nel Cronistorio -.

Il 7 dicembre 1912 fu consacrato l’Altare (dedicato all’Immacolata di Lourdes) dal Vescovo Ferdinando Rodolfi.

Il 24 marzo 1913, solenne cerimonia di consacrazione di tutta la Parrocchia alla Madonna di Lourdes.

La chiesa fu poi ampliata con le navate laterali da don Agostino Perin, poi fu nominato parroco don Mario Bocconcello, cui seguì don Angelo Pasqualetto che riportò l’abside alla primitiva semplicità “francescana”e l’11 febbraio 1988, il Vescovo Mons. Arnoldo Onisto consacrò il nuovo altare.

Fu nominato successivamente don Eliseo Giaretta, a cui è legato il bel rosone del frontale, ed ora il nostro pastore è don Giancarlo Pianezzola che, ridonando nuova linfa , ha voluto vivificare le nostre “radici”, realizzando con la collaborazione del Museo Diocesano, della Soprintendenza ai Beni Culturali, Storici e Artistici di Verona e dell’Engim il restauro della preziosa Icona: l’inizio della nostra storia, quella di Anconetta

11 maggio 2013: Inaugurazione del restauro dell’Icona.

IL RESTAURO DELLA CHIESA DI ANCONETTA (2014)

“INAURAZIONE RESTAURO CHIESA ANCONETTA”  (Articolo La Voce dei Berici)

Domenica 21 dicembre si è svolta, con la benedizione solenne, la cerimonia di inaugurazione del restauro relativo alla facciata della chiesa di Anconetta.

“Finalmente – ha esordito don Giancarlo Pianezzola, presentando l’opera alla comunità riunita sul sagrato della chiesa -, dopo mesi di ponteggi e velature che coprivano totalmente parti murarie, celle campanarie e pinnacoli laterali, il volto rinnovato della chiesa si offre  alla nostra ammirazione”.

I lavori sono la conclusione di una serie di interventi iniziati con la sostituzione delle finestre artistiche, corrose nelle parti metalliche, pericolose e non adeguate alla tenuta termica. Sono state sostituite con finestre nuove che ripropongono lo stile originario, con l’adeguamento necessario riguardante anche gli automatismi dell’apertura in sicurezza.

La  facciata esigeva “un intervento di restauro e risanamento conservativo – aveva spiegato alla comunità, in sede di presentazione dei lavori, l’architetto Battistella – , mai operato  dall’edificazione della chiesa (6 dicembre 1908 posa della prima pietra, ndr), e la necessità di contrastare i fenomeni di degrado delle parti ‘sensibili’, quali gli elementi lapidei e prevenirne di ulteriori. Tali elementi hanno manifestato episodi di distacco, nella fattispecie dalla vela campanaria che, oltre a sottolinearne il deterioramento, presentano motivati e urgenti preoccupazioni per l’incolumità delle persone”.

Si è trattato, quindi, di rinforzare tutti quegli elementi che presentavano evidenti situazioni di criticità, innanzitutto con la messa in sicurezza delle parti pericolanti, e, nel contempo, proseguire con una delicata opera di restauro artistico. “Il paramento in laterizio faccia a vista (ossia la muratura di facciata) – aveva spiegato l’architetto – presenta evidenti differenziazioni di consistenza e tessitura, con macroscopiche diversità dovute alla sopraelevazione dell’aula liturgica con ‘traslazione’ dell’apparato archietettonico di coronamento, struttura campanaria compresa, e all’intervento di ‘allargamento’ dell’edificio tramite le addizioni laterali (risalenti al 1937,ndr).

È plausibile che tali opere siano state eseguite, con mezzi economici improntati al recupero di materiali di spoglio. L’architettura della vela campanaria è affidata alla pilastratura in Pietra di Vicenza che supporta le ogive inserite su paramento in laterizio. Il degrado descrive una marcata disomogeneità della muratura. La forometria ad ogiva e il rosone centrale si accoppiano a grate metalliche ossidate, con percolazione sul paramento in laterizio”.

Il restauro era quindi improcrastinabile, ed è stato eseguito secondo le più moderne tecniche, specifiche per ogni elemento architettonico. Sulla facciata “si è valutato di evitare la sostituzione della ‘tessitura’”, adottando metodiche di “‘omogeneizzazione’ tramite intervento sulla superficie con tecniche meno invasive” – aveva concluso l’architetto, presentando, nel contempo, un’accurata e capillare descrizione dei singoli interventi e dei materiali utilizzati anche per rimuovere ed inibire la formazione di spore e ife, che sono la causa principale del degrado lapideo -.  Per ciò che riguarda più specificatamente le parti in pietra, l’intervento più urgente ha interessato “l’incollaggio dei frammenti in fase di distacco con resina epossidica, infiltrazioni sempre di resina epossidica semifluida in presenza di fratturazioni”, oltre a tutta una serie di interventi di stuccatura, lavaggio, velatura di discromie,  “protezione superficiale a spruzzo tipo silossanico”, a cui si è aggiunta l’opera di sostegno e rinforzo della struttura campanaria progettata dall’ing. Daniele Guarda.

Le ditte coinvolte  nei lavori sono state molteplici: per il restauro architettonico, Opera srl; Opere in ferro, Furlan Sas; Linea Vita, Sicur Delta srl; Assistenze murarie Pozzer Raffaele; Campane, Fagan Campane snc; Vetrate, Caron Vetrate Artistiche; Opere di falegnameria, Fabbi falegnameria; Progetto architettonico, arch. Michele Battistella; Progetto strutture di rinforzo e Linea Vita, ing. Daniele Guarda.

                                                                                                                         Mariella Maistrello

   “E così i segni del tempo – conclude don Giancarlo prima della benedizione solenne -, che non risparmiano né cose né persone, sono stati cancellati dalla nostra chiesa, la casa di Dio, la nostra dimora, che amiamo come l’hanno amata i nostri padri, che l’hanno edificata con i poveri mezzi di cui disponevano all’inizio del ‘900, ma con quella grande fede che noi dobbiamo custodire e alimentare  come una preziosa eredità, come ‘comunione’ di ‘pietre vive’, e tramandarla intatta alle nuove generazioni”.

  Mariella Maistrello

Contenuti a cura di Mariella Maistrello Grotto